Voci Nascoste: Breve Storia del Doppiaggio Italiano

1927. La rivoluzione del sonoro porta con sé un problema di difficile soluzione per le grandi case di produzione cinematografiche statunitensi che devono esportare le loro pellicole in Europa: è necessario rendere comprensibili i dialoghi in inglese a spagnoli, francesi, tedeschi, ai popoli scandinavi e slavi e, soprattutto, agli italiani che sono da diversi anni i migliori clienti. Mentre negli altri stati tributari di Hollywood la questione viene risolta con l’adozione delle didascalie sovrimpresse sul bordo inferiore dei fotogrammi, in Italia c’è un’ulteriore difficoltà: una legge emanata dal governo fascista nell’ottobre del 1930 (in concomitanza non casuale con l’uscita del film inaugurale della produzione sonora nazionale, La canzone dell’amore di Gennaro Righelli) intima di sopprimere “ogni scena dialogata o comunque parlata in lingua straniera”, impedendo quindi la proiezione di pellicole sottotitolate. La legge, mascherata da un acceso zelo puristico e nazionalistico per la difesa della lingua italiana dalla contaminazione con idiomi diversi, è in realtà un atto di incondizionata censura di matrice ideologica verso qualsiasi messaggio e modello diverso da quello del regime. Non è semplice trovare una soluzione conveniente per i produttori americani e relativi distributori in Italia, valida per gli autori, e fruibile per il pubblico italiano che rischia di non poter godere della più importante innovazione attuata nel cinema dopo la sua invenzione. In una prima fase le pellicole straniere vengono “sonorizzate”, cioè private del parlato: della colonna sonora originale rimangono solo musiche e rumori, mentre le sequenze dialogate sono continuamente – e assai poco esteticamente – interrotte dalle didascalie con la traduzione delle battute. I film originali perdono così il loro ritmo e il loro valore in un risultato noioso ed esasperante per il pubblico, tanto più che il 20% della popolazione italiana è completamente analfabeta. In un mercato dove non è tollerata neanche una parola straniera, il lentissimo orientarsi dell’esercizio verso la proiezione sonora e la quasi totale assenza di una produzione nazionale (una trentina di film nel biennio 1930-31), sono le cause di una crisi apparentemente insanabile. La stessa industria cinematografica statunitense sembra incapace di risolvere il problema dell’esportazione dei suoi prodotti. La MGM tenta un rocambolesco stratagemma: realizza di uno stesso film più versioni nelle diverse lingue dei paesi in cui la pellicola verrà esportata. Il sistema consiste nel conservare intatta la scenografia del set cinematografico sul quale si alternano i registi e gli attori delle varie nazionalità. Ogni scena viene girata due, tre, quattro volte, seguendo la stessa sceneggiatura e con le stesse inquadrature, ma con troupe differenti. Ma la cosiddetta “versione plurima” non può che rivelarsi un disastro dal punto di vista finanziario, organizzativo ed artistico. Negli stessi mesi un altro colosso statunitense, la 20th Century Fox, sperimenta un nuovo sistema, il doppiaggio, che promette di superare la barriera linguistica dei film girati in inglese con estrema facilità. I dirigenti della Fox hanno intuito che il nuovo metodo, appena messo a punto da un fisico austriaco, Karol Jacob, garantisce consistenti risparmi di tempo e denaro, una qualità superiore nel prodotto finito, velocità di esecuzione. Nasce il primo stabilimento di doppiaggio ad Hollywood, dove attori italiani emigrati in America o impegnati in turnè teatrali vengono ingaggiati per dare voce agli interpreti originali. Solo nel 1932, incoraggiata dai primi esperimenti americani, si muove anche l’industria cinematografica italiana: nel giro di pochi mesi nascono a Roma la Fotovox e l’Itala Acustica, destinate a dirigere il settore per decenni. I doppiaggi realizzati in patria hanno una qualità nettamente superiore rispetto a quelli importati dall’atlantico (soprattutto grazie all’impegno di grandi attori italiani) e presto si trovano disciplinati da un severo provvedimento legislativo: da questo momento il doppiaggio può essere eseguito solo in patria, da personale artistico e tecnico nazionale. Il provvedimento rientra in una strategia protezionistica, che mira a creare onerosi impacci alla concorrenza cinematografica straniera e soprattutto americana, per favorire in tal modo l’incipiente e fragile produzione sonora italiana. Inoltre il doppiaggio “fatto in casa” agevolava l’intervento della censura, libera di purgare il parlato originale di tutte le espressioni non gradite al regime e all’opinione pubblica predominante. Ma saranno ancora gli americani, tenuti fuori dai giochi fino al termine della guerra, a segnare le sorti del cinema italiano: all’interno del piano Marshall sono destinati 50.000 dollari alla nostra industria cinematografica. La strategia statunitense all’indomani del secondo conflitto mondiale è quella del prestito condizionato: dollari prestati contro l’impegno della controparte ad acquistare dal mercato americano. E il cinema non fa eccezione: le sale italiane sono invase dalle pellicole statunitensi. E il pubblico si fa ogni anno più numeroso, la fila ai botteghini è assicurata. Insieme alle materie prime e ai potenti macchinari, insieme a un nuovo modello di democrazia e di società, di cultura e di economia, gli Stati Uniti esportano l’immagine abbagliante dei loro divi. L’immagine, non la voce. Il doppiaggio, nato come espediente in una situazione di forte crisi, è ormai divenuto canone estetico essenziale al gradimento del film da parte del pubblico italiano. Le voci dei doppiatori, limpide, chiare, avvolgenti, sono scelte non per criteri di somiglianza con il timbro dell’attore sullo schermo, ma per la loro efficacia, la loro aderenza al personaggio. Così, se in America le star fondano gran parte del loro fascino su toni talvolta addirittura sgraziati, sporchi, pieni di imperfezioni, su una parlata veloce e trasandata, il popolo del bel canto, dell’Opera e del melodramma vuole che i suoi eroi sappiano parlare. E il cattivo non può non avere una voce profonda e minacciosa, l’eroina una calda e sensuale: sono film da ascoltare, tanto sono curate la dizione, la chiarezza della scansione sillabica, il pathos della recitazione. E perché la bellezza di questi suoni arrivi più chiara allo spettatore, nella fase di doppiaggio viene drasticamente abbassato il volume dei rumori di scena:le battute in Italia si sentono meglio, quasi fossero scene di un programma radiofonico, dove la limpidezza e l’incisività della parola deve catturare da sola lo spettatore. Tanto è l’amore per queste voci invisibili che gli stessi attori italiani vengono puntualmente doppiati. Sono anni in cui il sonoro in presa diretta è praticamente inutilizzato per via dei microfoni e degli altri strumenti fonici ancora estremamente rudimentali. L’inevitabile registrazione in sala delle battute non è affidata, come sembrerebbe naturale, all’attore italiano che interpreta il film, ma viene, nella maggioranza dei casi, delegato agli stessi doppiatori che hanno fatto attraversare l’oceano ai divi americani .Così non c’è da stupirsi se Claudia Cardinale parla con la voce di Ingrid Bergman. È un mestiere sempre più praticato e apprezzato, quello del doppiatore, che da timido espediente per superare la crisi del bando fascista, è diventato elemento indispensabile che arricchisce e potenzia il film, entrando a far parte dell’immaginario degli spettatori tanto quanto l’attore che si muove davanti alla camera. Un attore che viene così spogliato di una parte fondamentale del suo lavoro, del suo personaggio. Humprey Bogart,un esempio fra i tanti, con la sua voce sporca e nasale, con quella voce che occupa un posto così importante nella memoria del pubblico americano, diventa il timbro forte e vellutato di Bruno Persa. Diventa un’altra cosa. Il film stesso subisce, in questo modo, cambiamenti decisivi e, soprattutto, si allontana dal prodotto voluto e realizzato dal regista, che nulla sa e nulla può controllare di quanto avviene in una sala di doppiaggio a Roma. E nella pretesa necessaria di dare a una pellicola il valore di opera d’arte, questo è profondamente assurdo. Per l’opera d’arte, e per l’artista. Dall’altra parte, pensate a un film di Totò doppiato in americano…

F.

~ di Charlie Brown 666 su luglio 17, 2007.

2 Risposte to “Voci Nascoste: Breve Storia del Doppiaggio Italiano”

  1. Nooooooooooooooooooooooo, Totò nooooooooooooooooooooooooooooooooo!

  2. Ho letto anche questa storia sul nostro doppiaggio
    http://www.ciakhollywood.com/doppiaggio/storia/

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